A cura dell’Avv.Vincenzo Fedele
Cass.Civ.sezione lavoro ordinanza 11 luglio 2022 n.21865 “Ai fini della configurabilità di una ipotesi di mobbing, non è condizione sufficiente l’accertata esistenza di una dequalificazione o di plurime condotte datoriali illegittime, essendo a tal fine necessario che il lavoratore alleghi e provi, con ulteriori e concreti elementi, che i comportamenti datoriali siano il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione fini della configurabilità di una ipotesi di mobbing”.
La pronuncia di legittimità indicata in epigrafe indica quali siano gli elementi per determinare completamente l’istituto del mobbing lavorativo, precisando lo scrivente di non essere pienamente d’accordo con tale pronuncia
di legittimità, laddove a suo sommesso e modesto parere già la dequalificazione professionale senza alcuna motivazione, quindi uno Jus variandi in pelius, e tutta una serie di condotte del datore di lavoro per impedire
la risoluzione e la riqualificazione del lavoratore nelle sue mansioni o mansioni superiori già delineano l’istituto del mobbing, definito dallo psicologo svedese Heinz Leymann “una comunicazione ostile e non etica diretta
in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un singolo, progressivamente spinto
in una posizione in cui è privo di appoggio e/o di difesa”. Tuttavia la giurisprudenza di legittimità ha voluto ampliare le condotte illegittime che tendano a perseguitare il dipendente in modo continuato e non saltuariamente.
Tale pronuncia di legittimità ha ad origine dal proposizione di un ricorso in Cassazione da parte di un medico
il quale agisce nei confronti di un’azienda ospedaliera perché ritiene di essere stato professionalmente dequalificato e di aver subito condotte mobbizanti da parte del datore di lavoro anche in seguito all’anno 2005, ossia dopo
la proposizione di un giudizio conclusosi con una pronuncia di merito del 2010 intrapreso per ragioni simili,
chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.
Sia il Tribunale di Cremona, sezione lavoro, con sentenza n.636/10 e successivamente la Corte d’Appello di Brescia, sezione lavoro, con sentenza n.450/14 respingono però le richieste del medico, in particolar modo
la Corte d’Appello di Brescia rileva che i fatti allegati sono del tutto insufficienti a configurare il mobbing perché avvenimenti episodici privi di un intento vessatorio e collegati a delle problematiche lavorative e non altro ed inoltre, sempre a parere della Corte d’Appello di Brescia, sono insufficienti inoltre le prove prodotte ai fini
della richiesta risarcitoria(parti di sentenza acquisita dal sito www.studiocerbone.com)
La sentenza della Corte d’Appello di Brescia con sentenza n.450/14 respinge il gravame confermando la sentenza di primo grado, in particolar modo facendo presente che:
1)Nella sentenza n. 636/2010 il danno alla professionalità e alla carriera del medico era stato esaminato e valutato sia con riferimento al passato, che in proiezione futura, e quindi in termini definitivi;
2)Per ottenere un nuovo risarcimento per danno alla professionalità l’appellante avrebbe dovuto fornire allegazioni circa i nuovi e ulteriori pregiudizi verificatisi a partire dal mese di gennaio 2006, a causa del protrarsi del demansionamento, ma sotto tale profilo nulla di specifico e concreto egli aveva dedotto;
3)I fatti allegati erano del tutto insufficienti a configurare un quadro complessivo di mobbing, trattandosi di pochi avvenimenti meramente episodici, totalmente privi di un intento vessatorio e connessi a normali problematiche lavorative;
4)L’attore non aveva lamentato un aggravamento del danno alla salute, ma unicamente un danno di tipo “esistenziale”;
5)La dimostrazione della sussistenza di tale danno avrebbe richiesto l’allegazione di circostanze specifiche,
da cui desumere l’aggravamento rispetto a quanto già liquidato allo stesso titolo nel giudizio precedente, e che
al difetto di una pertinente e idonea allegazione non poteva sopperirsi con la mera produzione di documentazione medica.Il medico che aveva proposto impugnazione, propone quindi ricorso per cassazione impugnando la sentenza della Corte d’Appello di Brescia, sezione lavoro, illustrando i motivi del ricorso in tal modo:
A)Con il primo motivo ritiene che in relazione alla liquidazione dei danni della sentenza della Corte d’appello
del 2010 si sia formato il giudicato;
B)Con il secondo motivo contesta il fatto che la sentenza abbia affermato che lo stesso non si sia lamentato di
un aggravamento del danno alla salute limitandosi ad addurre un danno esistenziale;
C)Con il terzo motivo si chiede la riforma di tale sentenza nella parte in cui non si prevede l’affermazione sulla mancata allegazione di circostanze specifiche dalle quali poter desumere l’aggravamento del danno alla salute poiché molteplici sono stati i mezzi istruttori non ammessi o trascurati dalla Corte d’appello;
D)Con il quarto motivo infine lamenta l’omesso esame da parte della Corte d’Appello di Brescia delle condotte persecutorie poste in essere dall’azienda sanitaria e censura la parte della sentenza in cui è stato escluso un aggravamento del danno in conseguenza di condotte mobbizzanti.
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza indicata in epigrafe, emanava quindi formale ordinanza, accogliendo il secondo e terzo motivo di ricorso, dichiara assorbito il primo e respinge il quarto, cassa l’impugnata
sentenza della Corte d’Appello di Brescia, rinviando tale causa alla stessa Corte d’Appello di Brescia, sezione lavoro, in diversa composizione.
Per la Suprema Corte di Cassazione, il quarto motivo di ricorso non può essere accolto perché la Corte d’Appello ha considerato e valutato gli episodi indicati dal ricorrente a sostegno della condotta mobbizzante del datore di lavoro con adeguata motivazione, escludendo l’esistenza di un disegno persecutorio nei confronti del dipendente,
questo a dire della Corte d’Appello di Brescia. Per giurisprudenza costante “ai fini della configurabilità di un’ipotesi di mobbing, non è condizione sufficiente l’accertata esistenza di una decodificazione o di plurime condotte datoriali illegittime, essendo a tal fine necessario che il lavoratore alleghi e provi, con ulteriori e concreti elementi, che i comportamenti datoriali siano il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione(Cass.Civ.sez.lavoro ordinanza 29 dicembre 2020 n.29767).
Inoltre ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro rilevano i seguenti elementi, il cui accertamento costituisce un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità
se logicamente e congruamente motivato:
A)La molteplicità dei comportamenti a carattere persecutori o, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;
B)L’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;
C)Il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico e il pregiudizio
all’integrità psico-fisica del lavoratore;
D)La prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio, circostanze tutte richiamate
da altra pronuncia di merito(Corte d’Appello di Firenze, sezione lavoro, 03 marzo 2015 n.126).
La Suprema Corte di Cassazione configura quindi il mobbing lavorativo solo ove ricorra l’elemento obiettivo integrato da una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e quello soggettivo dell’intendimento persecutorio del datore medesimo. Nell’ipotesi in cui lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psicofisica in conseguenza di una parità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura asseritamente persecutoria, il giudice di merito è tenuto a valutare se i comportamenti denunciati possono essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e se siano causalmente ascrivibili a responsabilità del datore che possa essere chiamato a rispondere nei limiti dei danni a lui specificamente imputabili nei confronti del lavoratore.
Nel caso di specie descritto non è ampiamente dimostrato, secondo la giurisprudenza di legittimità, che tali condotte abbiano pienamente molestato il lavoratore, in questo caso il medico che ha proposto ricorso per cassazione, laddove la stessa Corte di Cassazione richiama la sentenza di appello accogliendo infatti alcuni dei motivi e rinviando altri alla Corte d’Appello di Brescia, sezione lavoro, in diversa composizione, laddove secondo la Corte d’Appello di Brescia, non veniva dedotto dal ricorrente un aggravamento del danno alla salute ma unicamente un danno di tipo “esistenziale” e peraltro in esito ad una ricognizione dell’atto introduttivo che, pur prendendo atto della produzione di documentazione medica reputata inidonea a sostituire allegazioni specifiche
(sentenza n.450/14-Corte d’Appello di Brescia, sezione lavoro), trascura di valutare i vari luoghi dell’atto stesso, tanto della parte espositiva come delle conclusioni, in cui, secondo quanto diffusamente illustrato dal ricorrente sono posti riferimenti all’art. 32 Cost. e al danno biologico.